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SPECIALE NUMERO ZERO DE "IL NUOVO PAESE " - Via Fani: 37 anni dopo

Con l’omicidio di Aldo Moro si volle porre termine al suo progetto politico

Aldo Moro

Questa che segue è parte di un’intervista fatta al prof. Nicola Colonna, docente di Storia delle dottrine politiche all’Università di Bari, pubblicata a conclusione del libro di Francesco Caroli, Noi ragazzi del ’78 e il ricordo di un’estate italiana (Schena, 2014). La riproponiamo nelle sue linee essenziali.

Aldo Moro

Aldo Moro

Professor Nicola Colonna, il rapimento di Aldo Moro da parte delle Brigate rosse mise senza alcun dubbio il definitivo sigillo a un decennio, il 1968-1978, tra i più terribili per la storia d’Italia. Che cosa rappresentò per il nostro Paese l’attentato di via Fani e, dopo 55 giorni, l’omicidio dell’allora presidente della Democrazia cristiana?
«Fu probabilmente la chiusura di una fase politica e di un ciclo storico. Un ciclo che aveva visto sotto il profilo politico la ricostruzione del Paese incentrata su un ruolo importante e fondamentale dei grandi partiti di massa. Con l’omicidio di Aldo Moro finisce anche la strategia togliattiana di una ricostruzione del sistema politico costituzionale democratico del Paese attorno ai partiti. Dopo il ’78 i partiti cambieranno di ruolo, perderanno progressivamente di peso sino ad arrivare alla cosiddetta seconda Repubblica, nella quale tutta una serie di vecchi partiti scompariranno semplicemente dal sistema politico, e quel sistema politico si ridefinirà in termini del tutto nuovi rispetto al passato».
La morte di Moro contribuì a fermare in Italia l’orologio dell’evoluzione politica nel nostro Paese? O fu al contrario un elemento di accelerazione e di progresso?

Nicola Colonna

Nicola Colonna

«Diciamo che scandì la fine di un progetto politico, appunto quello della costruzione della democrazia attorno ai grandi partiti di massa, e diede l’avvio a un altro progetto politico, forse molto più omogeneo rispetto ai sistemi politici anglosassoni, all’interno dei quali lo scontro di classe è molto più diluito e la contrapposizione tra una destra e una sinistra, tra un partito democratico e un partito repubblicano, tra un partito conservatore e un partito laburista, è sì presente però non arriva mai a mettere in discussione i fondamenti del sistema».
E per la Puglia cosa rappresentò la scomparsa di Aldo Moro?
«Moro non è che avesse una dimensione regionale. In realtà la dimensione di Moro fu una dimensione nazionale, addirittura sovranazionale e internazionale. Certo la Puglia perse un punto di riferimento importante, però più che la Puglia il punto di riferimento fu perso dall’intero Paese e da tutto un sistema politico».
Si può dire che il tentativo di Aldo Moro fu quello di portare il nostro Paese verso un sistema politico compiuto, quello appunto dell’alternanza fra i principali partiti?
«Sì, Aldo Moro stava cercando di realizzare quello che era l’originario disegno costituzionale, avere cioè l’ingresso nelle istituzioni di grandi masse, un ingresso però mediato dallo loro rappresentanza politica costruita attorno ai grandi partiti, Democrazia cristiana, Partito comunista e Partito socialista. Il sistema era stato bloccato per tanti anni a causa della guerra fredda e del contesto internazionale. Moro aveva compreso la necessità di sbloccare quel sistema e lo stava facendo in maniera molto graduale, com’era nel suo stile, però con un disegno politico molto lucido. La sua tragica fine ha significato appunto l’inizio di una modificazione profonda di quel disegno politico, costruito non più sui partiti ma attraverso forme di democrazia per così dire sempre più televisiva, sempre più mediatica».
Sui motivi che portarono le Br a rapire e a uccidere Aldo Moro si contrappongono due scuole di pensiero: da una parte vi è chi afferma che tali motivi sono tutti da far risalire alla strategia di attacco allo “Stato borghese e capitalista” messa in atto dalle Brigate rosse; dall’altra c’è chi invece inserisce l’azione brigatista in un più ampio contesto internazionale e nazionale, che determinò in modo quasi automatico la decisione strategica da parte delle Br di portate a termine il verdetto di morte. Lei quale ritiene sia la più probabile e possibilmente la più veritiera?
«Direi che vi è un intreccio di tutti questi elementi. Nel senso che ancora la ricerca storica deve chiarire alcuni nodi che rimangono cruciali per comprendere la dinamica di quel rapimento e soprattutto il suo esito tragico. Senza dubbio vi era un interesse dei poteri forti dell’Occidente a mettere in discussione il disegno di Moro per l’allargamento della democrazia nel nostro Paese. E quindi da questo punto di vista non si può assolutamente escludere lo zampino dei servizi segreti, e forse anche qualcosa di più di un semplice zampino. Peraltro questi servizi segreti, in questo disegno – diciamo – di alcune cancellerie occidentali, trovarono poi nei brigatisti rossi gli esecutori materiali, coloro i quali consapevolmente o inconsapevolmente svolsero il ruolo di braccio armato di questo disegno di limitazione dell’autonomia del nostro Paese».
Quali furono allora secondo lei le forze interne ed esterne all’Italia che portarono ad assassinare Aldo Moro? In poche parole, vi fu un complotto?
«Sa, quando si parla di complotto c’è sempre un terreno insidioso perché… il complotto per definizione è anche tale in quanto non è chiara la dinamica di alcuni eventi. Per cui dire che c’è il complotto significa però al tempo stesso non avere elementi per poterlo dimostrare. In termini penali, si direbbe che vi è un processo indiziario. D’altro canto però gli indizi ci sono e ci sono tutti. Nel senso che certamente vi era l’interesse dei settori atlantici più oltranzisti a impedire che si realizzasse in Italia un sistema di democrazia compiuta. Vi era ancora un clima molto pesante di guerra fredda, per cui l’Italia aveva una posizione strategica molto importante all’interno del Mediterraneo. E quindi non è assolutamente da escludersi la possibilità di un complotto. Però, per quel che attiene alla lucidità e al coordinamento che questi interessi hanno avuto, diciamo che qui il discorso diventa più nebuloso, perché non abbiamo elementi concreti. Ma certamente da un punto di vista politico non si può negare che vi sia stato un interesse forte, di settori del capitale finanziario internazionale e del blocco politico militare soprattutto statunitense, a rallentare e impedire un processo di autonomia dell’Italia, e di crescita di una posizione politica originale nel nostro Paese all’interno del Mediterraneo».
Negli ultimi anni è emerso che fu lo “zampino” di Nixon e soprattutto quello di Kissinger a impedire in Italia questa posizione di autonomia politica. Anche se, al momento del rapimento Moro, la presidenza americana era passata nelle mani di Carter.
«In realtà, quando si parla degli Stati Uniti d’America, non sono tanto importanti i nomi dei personaggi. Nixon, Kissinger, molto probabilmente ebbero un ruolo. E anche la debolezza della presidenza di Carter influì in tutto questo. Il punto è che quando si parla degli Stati Uniti d’America bisogna sempre aver presente quali sono le forze reali che si muovono dietro le apparenze. E le forze reali negli Usa sono quelle rappresentate, soprattutto in quegli anni, dal cosiddetto blocco industriale-militare, cioè da un blocco molto forte di interessi, all’interno dei quali facevano un tutt’uno le spinte militari imperialistiche espansive di alcuni settori più oltranzisti del sistema politico americano, con gli interessi di una parte importante dell’industria americana a indirizzarsi verso scenari di guerra, di guerra fredda per fortuna, però con un peso crescente della spesa militare. In realtà poi questo scenario è mutato soltanto a partire dalla metà degli anni Ottanta, quando il grande capitale americano si è indirizzato non più sull’industria bellica ma sulle grandi innovazioni tecnologiche, l’informatica, la rete, e via dicendo. Solo allora si può dire che lo scenario è mutato».
Tornando all’Italia, si può dire che anche nel nostro Paese andavano progressivamente mutando alcuni scenari. In seguito, nei primi anni Ottanta, attorno alla scoperta del memoriale di Aldo Moro nel covo di via Monte Nevoso, avvenuta in due momenti successivi, si sono potuti registrare diversi “fatti strani”, messi in risalto da una recente pubblicazione dello storico Miguel Gotor: vi furono delitti, ricatti e conflitti tra i vari poteri dello Stato. Come se lo spiega?
«Purtroppo non è certo difficile da spiegare tutto questo. Nel nostro Paese, si può dire, vi è stato a lungo, e probabilmente e in qualche modo continua a esservi ancora oggi, una sorta di Stato duale. Vi è cioè una faccia dello Stato, che è quella rappresentata dalle istituzioni che si muovono alla luce del sole attraverso il normale confronto in Parlamento e la dialettica governo-opposizione; dietro questa facciata, senz’altro democratica, vi sono però degli interessi, delle resistenze conservatrici, che soprattutto sino agli anni Ottanta hanno avuto un ruolo molto importante. Penso al tentativo di colpo di stato di De Lorenzo del 1964, ma penso anche al modo in cui alla fine degli anni Ottanta è stata smantellata la prima Repubblica attraverso, se così si può dire, la sinergia di un blocco rappresentato dal potere mediatico per un verso e dal potere giudiziario per un altro verso. E dietro questi poteri anche qui si sono allungate, e forse ancora si allungano, ombre di settori della finanza interna e internazionale interessati a modificare il sistema politico italiano». (…)

FRANCESCO CAROLI
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