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Alcuni considerazione sull'attualità politica italiana

Se lo «spettro» Renzi riuscisse a unire in un sol corpo tutto il centrosinistra e poi guardare altrove

(foto web)
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Parafrasando Marx, si può dire che uno spetto si aggira da due-tre anni in Italia: il suo nome è Matteo Renzi. Tutte le «potenze» della «vecchia» e «nuova» Italia si sono «coalizzate in una sacra caccia alle streghe contro questo spettro»: Berlusconi, i grillini, le minoranze dem, le varie sinistre più o meno a sinistra del Pd renziano, i sindacati e tutti i vari cosiddetti «poteri forti» che a vario titolo si oppongono al premier-segretario. Con quale probabilità di sconfiggerlo sul terreno elettorale e delle varie «sfiducie» mosse in Parlamento? Nessuna, o poche, almeno per adesso.
Se il referendum sulle trivelle, che si è concluso, alle ventitré di domenica 17 aprile (mestamente per i suoi promotori e sostenitori, che avevano invece la non larvata speranza di disarcionarlo, al di là del quesito referendario), senza il raggiungimento del quorum necessario a far valere i «Sì», ha dato un segnale chiaro, è questo: per ora Matteo Renzi è l’incontrastato «principe» della politica italiana. Un deus ex machina capace di imbrigliare un po’ tutti, in un modo e nell’altro, i suoi «avversari».
Quali i motivi di questo «successo» e di queste «vittorie»?
Qualche passo indietro nelle vicende politiche italiane possono illuminarci.
Matteo Renzi, sconfitto dal popolo delle primarie del Pd a favore dell’allora segretario Pier Luigi Bersani, si sedette classicamente sulla riva del fiume e aspettò «maosticamente» che passassero i «cadaveri» dei suoi nemici. Cosa che non tardò ad avverarsi, sull’onda lunga della vittoria dimezzata del Partito Democratico nelle Politiche del 25 febbraio 2013, che ci consegnò un Parlamento diviso in tre parti: centrosinistra, centrodestra e Movimento 5 Stelle. La storia è nota. Incapaci i «grillini» nel riconoscere poi quali possibilità vi erano nello sconfiggere definitivamente il centrodestra di Berlusconi dando qualche «merito» al Partito democratico,  quella situazione partorì due «topolini»: la rielezione di Napolitano a presidente della Repubblica, in seguito all’accordo tra gli stessi Berlusconi e Bersani, e in seguito a questo accordo l’elezione di Enrico Letta a presidente del Consiglio. Le conseguenti dimissioni di Bersani, consegnarono il Pd a Matteo Renzi, votato dallo stesso popolo delle primarie che l’avevano prima sconfitto. In maggior parte stanco, in quel momento, l’elettorato del Pd, ad aspettare una vittoria piena che mai arrivava, sin dai tempi di Berlinguer, Occhetto, D’Alema, Veltroni, Prodi.
Forte di questa elezione, alla segreteria del «suo» partito, ci fu allora qualcuno (Fassina, D’Attorre, Gotor e altri) che pensò di candidarlo a premier al posto di Letta, con la recondita speranza di «bruciarlo». Invece, da allora Matteo Renzi è uscito «vincitore» in tutte le varie competizioni politiche ed elettorali, ad iniziare dalle Europee del 25 maggio 2014 (con il Pd che per la prima volta superava il 40 per cento).
Ma Matteo Renzi, può essere il nuovo «uomo della provvidenza» della politica italiana? Capace di «fare», a suo modo, quelle «cose» che sino ad ora non è riuscito di fare ad altri? Compreso quello di portare il Partito Democratico nella famiglia socialista europea (vecchio «pallino» di D’Alema), riuscire a varare una riforma elettorale maggioritaria («pallino» Di Fini e Berlusconi) con doppio turno («pallino» dell’intero centrosinistra e «spettro» di tutto il centrodestra), portare all’incasso in Parlamento la riforma istituzionale con l’abolizione del bicameralismo perfetto («pallino» di Napolitano). Quindi, più che «uomo della provvidenza», Matteo Renzi può essere definito «uomo della sintesi», di tutta quanta la politica italiana.
Non è un caso che una postfazione di Matteo Renzi è stata inserita nel saggio di Norberto Bobbio, «Destra e sinistra – Ragioni e significati di una distinzione politica», ripubblicato nel ventennale dalla Casa editrice Donzelli nel 2014. «C’è stato un tempo – scrive Renzi come incipit nel suo articolo a conclusione del libro di Bobbio – in cui a sinistra la parola “sinistra” era una parolaccia. Sacrificata al galateo della coalizione di centrosinistra, tanto da giustificare dibattiti estenuanti e buffi sul trattino». Per concludere, dopo aver definito superata la vecchia contrapposizione destra-sinistra, e dicendosi invece favorevole, con Blair, sui termini contrapposti aperto/chiuso, avanti/ indietro, innovazione/conservazione: «La sinistra è oggi chiamata a riconoscere e a conoscere il movimento continuo delle nuove dinamiche sociali, contro chi vorrebbe vanamente fare appello a blocchi che non esistono più e che è un bene che non esistono più. In Italia, più che altrove, la capacità della politica di saper distinguere le dinamiche sociali che interessano gli ultimi e gli esclusi, di saperne intrecciare il costante movimento per costruire per loro, e per tutti, un paese migliore, è il compito del Partito democratico. È la missione storica della sinistra».
Al punto in cui sta la situazione politica in Italia, l’auspicio per tutti coloro che si pongono nell’alveo «progressista» è quindi che Renzi sia ora capace in prima battuta di unire e non più dividere il popolo del centrosinistra, come è riuscito a unirlo nell’elezione di Sergio Mattarella a presidente della Repubblica. E che nel popolo di centrosinistra ci si convinca di riconoscere, almeno in questa fase, a Renzi quella leadership che in molti non gli riconoscono solo perché non sono più loro a tenere in mano, in forma non prosaica, il cosiddetto «mazzo di carte». Fatto questo, sarà allora quello il momento di allargare i consensi verso gli altri settori dell’elettorato. E, da quel momento in poi, che coinciderà con il referendum sulla riforma costituzionale che si terrà a ottobre, sarà tutta un’altra storia. (F.C.)

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