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ALCHIMIA & DINTORNI

Con James Hillman e Alfred Adler i codici per decodificare la nostra anima

L'inconscio collettivo secondo Jung (foto internet)

Un altro incontro  con la rubrica “Alchimia & dintorni”  per farvi conoscere, attraverso le loro opere, alcuni personaggi che possono essere considerati alchimisti in un senso più ampio. La vera Alchimia, infatti, non mira alla trasformazione del piombo in oro ma alla trasformazione dell’animo umano e al miglioramento di se stessi. Questa volta la “pagina”  si arricchisce con alcune riflessioni di Fermetef su Alfred Adler e il suo ultimo libro “Il senso della vita”. E per concludere, sempre sul tema, ci sono le dieci “poesie dell’anima” di Francesco Caroli.

di Aleister

L'inconscio collettivo secondo Jung (foto internet)

L’inconscio collettivo secondo Jung (foto internet)

Nato in America nel 1926 da una famiglia ebrea e morto nel 2011, James Hillman ha diviso la sua esistenza tra America ed Europa. Psicologo di scuola junghiana, si è dedicato alla carriera accademica ed ha diretto una casa editrice (la Spring Publications) proprio allo scopo di diffondere le opere junghiane e le proprie idee. Il concetto di psicologia archetipica era già stato delineato da Jung ma viene esplicitato da Hillman: gli archetipi sono le forme primarie delle esperienze vissute dall’umanità nello sviluppo della propria coscienza, e sono condivisi da tutti, in ogni tempo e in ogni luogo. Sono immagini elaborate e stratificatesi nel corso del tempo (per Hillman tutto ciò che percepiamo attraverso i sensi è immagine). Questi simboli costituiscono l’inconscio collettivo, che preesiste alla psiche individuale, che contribuisce a formare. Anche il concetto di psicologia analitica, elaborato da Jung, è precisato e sviluppato da Hillman: l’analisi non deve esaurirsi nelle sedute tra terapeuta e paziente, ma è un qualcosa che deve avvenire senza soluzione di continuità, come in effetti accade ogni qualvolta noi ci sforziamo di comprendere i nostri comportamenti, di correggere i nostri errori, di fare qualcosa; in altre parole, ogni qualvolta proviamo a esplorare la nostra anima (ciò che lui chiama fare anima). Tutto ciò può avvenire in particolare attraverso l’analisi dei sogni, che sono il modo in cui l’inconscio individuale si riappropria dell’inconscio collettivo, cioé il modo in cui l’anima si ricollega all’archetipo. La psicologia, in altre parole, deve diventare terapia delle idee, non delle singole persone.
Un altro concetto molto importante per Hillman è quello del mito. Gli archetipi costituiscono la radice dei miti, e questi si manifestano nell’anima; quando, però, prendono il sopravvento sul loro ospite portano all’alienazione, cioé alla perdita di sé. La psiche si ammala perché non riesce a tener dietro alle pressioni e alle aspettative che l’ambiente sociale esercita su di noi. Nel processo psicanalitico, perciò, non si può mai parlare di vera e propria guarigione, ma è importante che il soggetto prenda coscienza di quali sono i miti che governano la sua personalità, in modo da attenuarne gli effetti negativi.

Chi è James Hillman?

James Hillman

James Hillman

James Hillman non era solo uno psicanalista ma anche un filosofo e, più in generale, uno studioso a 360 gradi. Inevitabile, quindi, che, come Jung, si sia interessato anche di alchimia, lui pure nell’ultimo periodo della propria produzione scientifica. Del resto, come la psicologia archetipica, anche l’alchimia si basa su simboli, di regola oscuri. Nel Corpus Hermeticum Dio è chiamato la Luce archetipica. L’immaginario e il linguaggio alchemico, dunque, costituiscono una risorsa per la pratica psicanalitica. Il fine ultimo dell’alchimia è trasformare se stessi, cioè la propria anima; quello della psicologia è trasformare anime sofferenti in anime rasserenate. Hillman crea un vero e proprio parallelismo tra i tre stadi dell’opus alchemico e i momenti dell’opus analitico: alla nigredo corrisponde la depressione, all’albedo la riflessione e alla rubedo la ritrovata armonia.

la copertina de "Il codice dell'anima" di

La copertina de “Il codice dell’anima”

Un altro tratto distintivo comune alle due discipline è quello dell’oscurità. L’alchimia, secondo Hillman, è governata dal caos: il linguaggio usato dagli alchimisti è volutamente oscuro, e solo di tanto in tanto si intravvedono bagliori di luce. Allo stesso modo, anche la psiche è avvolta nell’oscurità: i bagliori di luce traspaiono attraverso i sogni, che sono spesso confusi e anche quando non lo sono hanno sempre un significato recondito. Sta a noi decifrarli e scorgere in essi gli archetipi che ci governano, proprio come sta allo studioso di alchimia penetrare il significato delle parole dei maestri.
Per decifrare il codice dell’anima e capire il carattere, la vocazione, il destino di ognuno di noi, ossia perché siamo fatti in un certo modo, compiamo certe scelte o scegliamo certe vie che possono talvolta apparire casuali o irragionevoli, Hillman ne Il codice dell’anima si ispira al mito platonico di Er: l’anima di ciascuno di noi, prima della nascita, si sceglie un “compagno segreto” (i greci lo chiamavano daimon, i latini genius, i cristiani angelo custode). Sarà lui a guidarci nel cammino terreno, ed è lui la chiave per leggere il codice dell’anima, quella sorta di linguaggio cifrato che ci spinge ad agire ma che non sempre comprendiamo.
Per provare l’esistenza del daimon e farci capire come opera Hillman ha scelto una via tanto inusuale quanto efficace, cioè quella di impiegare come esempi dei personaggi famosi, raccontandone successi e sconfitte: da Judy Garland a John Lennon e Tina Turner, da Truman Capote a Quentin Tarantino e Woody Allen, da Hannah Arendt a Richard Nixon e Henry Kissinger. Ma nell’età della psicopatia il ruolo del protagonista non poteva non spettare a Hitler: il suo demone gli ha cucito addosso la divisa di un prototipo: quello del criminale tout court. Attraverso questa serie di storie eloquenti e paradigmatiche Hillmann è riuscito a farci capire che se la psicologia si è dimostrata incapace di spiegare le scelte più profonde che decidono la vita di tutti noi è proprio perché aveva perso il contatto con il daimon. E, soprattutto, a farci sentire di nuovo la presenza di questo compagno invisibile dal quale, più che da ogni altro elemento, dipende la nostra esistenza.


A proposito del “senso della vita” di Alfred Adler

“Qualche settimana fa abbiamo accennato all’ultimo libro di Alfred Adler, “Il senso della vita”, nella rubrica di Fermetef  “Amore & Psiche”, proponendo ai nostri lettori di leggerlo per darsi concrete risposte alle loro problematiche di vita. L’associazione culturale “Il Pensatoio” parlerà del libro di Adler nel prossimo incontro con i suoi “viaggiatori”. “Il libro di Adler  – afferma in proposito nella presentazione dell’evento l’associazione – si propone come un riepilogo esaustivo e arricchito di tutta la teoria individual-psicologica. L’autore in quest’opera, oltre ad esporre i fenomeni con le loro cause e finalità, ci fornisce criteri di comprensione ed interpretazione e metodologie diagnostiche e valutative”. Principio “fondamentale e di premessa alle riflessioni presentate è l’unicità dell’individuo che comporta l’impossibilità di un’acritica costruzione di leggi e regole a priori in cui etichettare ed incastrare i soggetti o i loro comportamenti. È chiara dunque l’opposizione ad una causalità lineare scissa dal contesto e che non considera l’enorme variabilità umana”. 

di Fermetef

Alfred Adler

Alfred Adler

Emerge da queste pagine il grande merito della riflessione adleriana: l’aver colto che il dramma perenne dell’essere umano è nel contrasto inevitabile tra l’ideale dello spirito e l’aspirazione alla superiorità, alla perfezione e alla consapevolezza della fragilità del proprio corpo
Esprime il “principio di piacere” che chiama volontà di potenza e chiama quindi, il principio di realtà, principio sociale – ossia la propensione a interessarsi alla propria comunità e la tendenza a trovare il proprio posto in essa.s-l1600
L’aspirazione, alla superiorità/volontà di potenza e sentimento sociale, sono perciò due istanze innate che si intrecciano in maniera sinergica nello Stile di vita-Sé dell’individuo, permettendogli di affrontare i tre compiti vitali dell’uomo: amore, lavoro e socialità.
La volontà di potenza, der Wille zur Macht, rappresenta “la forza motrice”, propria della natura umana, che influisce come fattore basilare sulla vita psichica di ogni individuo, indirizzandolo, a livello conscio e anche inconscio, verso una finalità di elevazione e di affermazione personale.
Adler, a dispetto dei suoi predecessori, che già avevano accennato alla questione, sviluppa quindi una teoria completa dell’inferiorità organica. Ci si riferisce qui ad organi che hanno minor resistenza. La teoria chiarisce, secondo Adler, molte malattie inspiegate causate delle nevrosi che  provengono da un sentimento di insicurezza o di inferiorità dovuto anche a deficienze organiche. Questo “complesso di inferiorità” spinge l’individuo a usare tutti i mezzi per camuffare e compensare i propri svantaggi.


(Immagine internet – Dal sito: https://www.visioneolistica.it/il-senso-della-vita/)

(Immagine internet – Dal sito: https://www.visioneolistica.it/il-senso-della-vita/)

Il senso della vita e le motivazioni che ci portano ogni giorno ad affrontare la nostra quotidianità sono due dei temi affrontati nei versi di «Fermare il mondo con un dito – Raccolta di poesie senza preciso movente» di Francesco Caroli (MonteCovello Editore 2012 ­– Tutti i diritti sono riservati © Francesco Caroli).
Ne presentiamo qui alcune pagine, accompagnando ogni poesia con le motivazioni che hanno portato l’autore a scriverle.

 Dieci poesie dell’anima

di Francesco Caroli

La copertina del libro

La copertina del libro

Le età di un uomo. Il tempo che passa, i progetti raggiunti, le vette mancate. Gli amori passati, le passioni fuggite. Il bilancio di una vita dopo gli anni della giovinezza e della maturità. S’avanza già a passi veloci la vecchiaia. Ricacciarla indietro, comunque! Nuovi desideri e progetti, anche ora? (3/8/2009)

Il senso di una vita

 Senso di una vita

che si perde lungo il filo

di un’età che si consuma

al fuoco di parole che crepitano

alla luce di una speranza

mai riposta.

Essere chi?

Cosa fare?

Chi incantare?

Pensieri che non si fermano

nemmeno ora, in questo cammino

dove già rosseggia l’antico

falò della notte.


… Tra passato e futuro. La speranza di ritrovare parti importanti di se stesso e soprattutto le persone che hanno contato nella propria vita. Ma chissà quando, chissà dove? (26/11/2008)

Il nostro tempo

 Forse un giorno incontreremo

il nostro tempo,

quello vissuto senza guardare altrove.

Forse durante una notte di luna piena

ci sveglieremo e riusciremo

tutti insieme a guardare il cielo stellato.

Forse altrove, in una dimensione

diversa, ognuno di noi

riuscirà a trovare se stesso

ritrovando anche gli altri.


Fermarsi per cercare di capire quello che ti succede, mentre tutto intorno appare immutabile nella sua corsa contro il tempo e nulla può cambiare in una realtà sempre uguale a se stessa. (28/10/2009)

Il treno del tempo che passa

 Fermare questo tempo che passa

come un treno che non ha

più freni… Sostare per capire

una realtà che scivola via

tra passato e presente. E il futuro

che ancora mille facce ha.

In questo sogno che non

diventa mai mattino…

In questa notte

che è dolce ma ancora non

vede angeli affacciarsi alla finestra

di questo momento che è lungo quanto una vita.

E i demoni dei tuoi incubi urtano

alla porta. Prepotenti,

per far perdere questo tuo sguardo

nel mare dei rimorsi.

Delle tue perdite. Dei tuoi peccati.


In certe notti, risvegli assurdi senza spiegarsi la ragione. S’abbandona esausto il letto, cercando di dar tregua ai propri pensieri: si va in cucina e si apre il frigo per bere o mangiare qualcosa, accendere poi la tv, richiamare all’ordine le proprie ossessioni. Inutilmente si torna a dormire… Ma un imprevisto può dare nuova speranza. (22/11/2009)

Notte di nebbia sulla città

Bottiglie tappate

vuote e testarde, mentre riaffiorano

dalle onde di un letto

già sfatto.

I miei fantasmi mi riportano

qui. Un risveglio improvviso

e amaro in notti

inconsapevoli e insonni.

Un rialzarsi a fatica… Bere,

accendere inutili programmi.

Contrastare una veglia forzata.

… Dalla finestra serrata

un richiamo. La città abbandonata

a se stessa. È una nebbia stanca, pietosa

come velo l’avvolge. Le luci dei lampioni

a fatica la penetrano. Piccole fette di reale.

Nessuna ferita. Tutto silenzio.

Un’auto in corsa, un motore

che non fa paura e non ruggisce.

Ma da questa notte impalpabile,

un suono: un cinguettio?

La finestra è curiosa

e si apre

per riportare più forte

questo fischio stridente, fuori luogo.

Persistente. Esce dalla nebbia,

instancabile. Da questa notte,

da questa città

addormentata e affossata.

Un pensiero, un presagio, un desiderio.

Un sospiro.


Portare per diverso tempo dentro se stessi l’immagine di un’auto che corre lungo la sua strada, apparendo in questa immagine quasi ferma su se stessa, o in surplace, andando come su di un tappeto rotante, mentre tutto il resto è in movimento. (5/3/2011)

 Lungo la strada che scorre

Assediato

dalle mie età

cielo e asfalto

fuggono via.

Scorrono monti,

mari e fiumi.

Scappano le nuvole.

In quest’ultimo

tratto di strada

spengo il motore.

Poggiare il capo

sul volante.

Arriverà la pioggia.

Possibile che sia

l’ultima

mia attesa?


Cosa può aver portato a scrivere questa Alta marea? Forse immagini e parole stratificate da grandi autori, come il racconto di Buzzati de I giorni perduti o quello sempre di Buzzati dei Sette piani? Vi è comunque il desiderio di trarre bilanci, fare somme tra costi e ricavi, differenze per determinare profitti e perdite di un’intera vita. (24/5/2010)

 Alta marea

Chiudere gli occhi

e premere forte l’indice

sulla sabbia.

 

Aspettare attimi di eternità

e tracciare una linea infinita

e sottile

che tutto comprenda.

 

Tornare indietro con la mano

e inciderla

marcandola a fuoco.

 

In questo fossato che ci attraversa

attendere l’alta marea

che cancelli

i contorni di questo cerchio.

 

Guardare il mare che scende lungo

le nostre mani, le ginocchia, i piedi

e contare la sua eredità.

 

Lanciare lontano le alghe,

le conchiglie spezzate,

quelle vuote e le insignificanti.

Conservare le poche stelle marine.

 

Cogliere piangendo l’unica grande

conchiglia e portarla con sé.

Solo così si può catturare il mare.


Tutte le emozioni della nostra vita ci portano a due grandi stati d’animo: gioia o dolore, alcune volte entrambi insieme. Ma che cosa, chi e in che modo ci può procurare piacere o sofferenza? (25/1/2012)

 Le emozioni della vita

Il primo mio vagito

si tramutò

in sorriso, quando

ingordo succhiai

il mistero della vita.

Così iniziò il mio lungo cammino.


Ogni giorno ciascuno di noi deve darsi un motivo per continuare la propria vita, anche tra mille e mille difficoltà. E ogni giorno ritrovare la speranza perché il domani sia sempre un’altra cosa. (26/2/2012)

Il colore delle cose

 Scrivere ogni giorno due righe su un diario

moleskine con copertina e molla nera

per sentirsi un po’ scrittori, un po’ poeti…

Cambiare penna e colore della penna

ad ogni pagina come se a cambiare

fosse un maglione o una camicia.

Stamattina il mio pullover era grigio,

è diventato viola nel primo pomeriggio.

Stasera avrà il colore della notte?

 

Eppure mi piace guardare l’arcobaleno

che attraverso al termine di questo giorno

di pioggia come una porta che dischiuda

un nuovo paradiso su questa terra.

E su quel letto d’ospedale ci sei tu

che dormi nell’attesa che passi l’effetto

anestetico e arrivi il tocco di una carezza

che non cerchi più, prima che l’infermiera

spenga la luce nella stanza.


Le ereditarietà fisiche morali e psicologiche dei genitori si avvertono palpabili nel nostro stesso modo di essere. Lo sguardo folto e accigliato di nostro padre si combina col sorriso luminoso di nostra madre. L’altezza è del nonno paterno, l’andatura della nonna materna. Ma se si riuscisse ad andare al di là nella ricerca dei nostri avi? (19/5/2012)

Antenati

 A volte la loro impalpabile presenza

è qui con me. Ignaro cammino solo

insieme a loro e sulla pelle quel soffio

di vita retroattivo. Nello specchio

ombre s’affannano dal davanzale

delle mie palpebre. I miei occhi

riflettono lo scarto di generazioni

e generazioni affondando lo sguardo

sin nella notte di quell’alba

dove tutto ebbe inizio.

Le mie dita con scopo di inesplicabile metempsicosi

si trasformano in artigli zampe pinne ali.

Tutto me stesso diventa conchiglia roccia acqua cielo.

E verso quel cielo con effetto boomerang

corre polvere di stella residuo di big bang.


La percezione del tempo che scorre inesorabilmente, può cogliere ciascuno di noi all’improvviso, soprattutto quando si è spettatori inconsapevoli e non partecipi di un evento inatteso. (17/6/2012)

 Corridore perso nel suo tempo

Nel chiarore riflesso di questa prima luce

un risveglio appannato con un’usuale visione

sul mondo. Palazzi ammassati, traffico

spento, lampioni accesi ancora per poco.

… Ma da quel cavalcavia sospeso nel tempo

un’ombra corta galoppa sull’asfalto

freddo, in attesa del raggio che lo sciolga.

Uno sguardo distratto lo segue. È solo

all’inizio del suo percorso d’atleta.

La corsa è allegra, sostenuta. Non c’è affanno.

 

La prima immagine di questo corridore

che insegue i suoi anni più belli è fresca,

corroborante. Un’icona che fa sperare.

Fa rivivere un domani di gioie e amori,

di denari e fortuna. Ma è solo una frazione

d’un attimo che vola. Dopo il primo

fotogramma ecco subito il secondo,

il terzo, il quarto… Il presente

si tramuta in passato e il futuro diventa

presente. Il corridore rallenta pian piano

la corsa sbattendo contro il suo tempo.

Sbuffa, s’affanna, rallenta.

 

Al termine,

il suo cavalcavia

non è un più tappeto

di petali e d’erba

ma una scalata irta

come di calvario.

Scompare,

mentre

si piega

portando

senza indugio

una mano

al fianco

per darsi

coraggio

e speranza.

 

Tornano i palazzi ammassati, il traffico

non più spento, il sole che avvampa.

 

Di questo atleta che corre solo per sé

non v’è più traccia. La sua è una storia

che diventa storia solo in queste

poche righe tracciate per noia.

"Il maratoneta" Dustin Hoffman

“Il maratoneta” Dustin Hoffman

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