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IL CASO USTICA - La sentenza della Corte di Appello di Palermo accoglie i risultati dell'inchiesta chiusa nel '99 da Rosario Priore

Il Dc-9 Itavia fu abbattuto da un missile. Dopo 35 anni si sgonfia uno dei tanti «muri di gomma» italiani

Lo stralcio dell'articolo e della vignetta pubblicata nel '93 dal nostro giornale
Lo stralcio dell'articolo e della vignetta pubblicata nel '93 dal nostro giornale

Lo stralcio dell’articolo e della vignetta pubblicata nel ’93 dal nostro giornale

Un dei tanti «muri di gomma» italiani si è del tutto sgonfiato, con una sentenza della prima sezione civile della Corte di appello di Palermo. Dopo 35 anni, vengono perciò tolti gli ultimi veli sulle responsabilità dell’abbattimento del Dc-9 Itavia precipitato il 17 giugno 1980 al largo di Ustica. Una lunga vicenda che il nostro giornale cercò di affrontare il 23 ottobre del 1993, dopo già 13 anni dall’incidente, titolando il lungo articolo d’inchiesta di Pietro Andrea Annicelli: «Ustica, la verità negata…», dove nella illuminante vignetta di Piero Angelini si prefigurano già i possibili scenari di occultamento dei fatti attuati a vari livelli. La sentenza della Corte di appello ­– se ha un pregio – dà perciò una versione definitiva ai fatti di allora, squarciando sino a ipotesi contraria (nell’eventuale terzo giudizio) quel «muro di gomma». Essa viene oggi riportata con il dovuto rilievo da tutta la stampa italiana, e può essere così riassunta: I ministeri della difesa e dei trasporti dovranno risarcire, per una cifra che dovrà essere quantificata, i familiari di 17 delle 81 vittime del disastro del Dc-9. La sezione civile della corte d’appello di Palermo ha quindi rigettato gli appelli che l’avvocatura dello Stato aveva promosso contro alcune sentenze emesse nel settembre del 2011 dal Tribunale di Palermo. A ricorrere al rito civile, citando per danni lo Stato, erano stati 68 familiari delle vittime, che in primo grado si erano visti riconoscere un danno complessivo di oltre 100 milioni di euro. Secondo la corte d’appello di Palermo quanto avvenne nei cieli del basso Tirreno in occasione della strage di Ustica è da addebitarsi a un missile lanciato contro il Dc-9 da un altro aereo, da identificare, che intersecò la rotta del volo Itavia o alla quasi «collisione con quest’ultimo». I giudici, hanno perciò condiviso per intero le conclusioni raggiunte in primo grado, escludono radicalmente le ipotesi alternative della bomba collocata a bordo e del cedimento strutturale attribuendo ai due ministeri la responsabilità di non aver assicurato adeguate condizioni di sicurezza al volo Itavia. La Corte d’Appello ha dichiarato prescritto il solo diritto al risarcimento dei danni «connesso all’illecito consistito nell’avere ostacolato o impedito l’accertamento della verità sulle cause del disastro», e cioè in seguito a depistaggi, eliminando la relativa condanna inflitta in primo grado al ministero della difesa. Nella sentenza i giudici d’appello tornano a confermare la centralità della sentenza-ordinanza del giudice Rosario Priore che nel ’99, al termine di una lunga istruttoria, analizzando i tracciati radar di Ciampino e basandosi sul parere di diversi esperti, concluse che il Dc-9 era stato abbattuto nel corso di una battaglia aerea e che la sua rotta era stata disturbata da velivoli militari di diversi Paesi tuttora da identificare. I giudici di secondo grado evidenziano che la circolazione di altri aerei lungo la stessa aerovia del Dc-9 «costituiva un fatto colposo imputabile ai ministeri, perché le amministrazioni convenute avrebbero dovuto garantire l’assenza di ostacoli o pericoli per la circolazione aerea lungo la rotta assegnata e, comunque, adottare misure idonee a prevenire l’incidente (ad esempio non autorizzando il decollo del Dc-9 o il volo sulla solita rotta, o assegnando altra rotta per il volo di quel giorno)». La sentenza contiene anche alcune considerazioni sull’autonomia fra il giudizio civile e quello penale, chiuso nel 2007 con l’assoluzione definitiva dei generali dell’Aeronautica che erano finiti sotto processo all’indomani della conclusione dell’istruttoria Priore, ritenendo che «l’accertamento di responsabilità da parte del giudice civile deve attuarsi secondo gli standard di certezza probatoria propri del processo civile, fondati sulla regola del “più probabile che non”». «Con queste tre sentenze – commenta l’avvocato Daniele Osnato – la Corte di Appello di Palermo ha definitivamente chiuso, in punto di fatto, la vicenda giudiziaria identificando, al di sopra di ogni dubbio, che il Dc-9 sia stato abbattuto da un missile. Ogni contraria ipotesi è stata vagliata ed esclusa, compresa quella della bomba. Con buona pace di chi, ancora a distanza di 35 anni dal tragico evento, prosegue con informazioni deviate ed ipotesi del tutto prive di fondatezza». La corte d’appello palermitana ha rinviato a un’udienza che si terrà il 7 ottobre 2015 per l’esatta quantificazione del danno. Un dei tanti «muri di gomma» italiani si è quasi del tutto sgonfiato, con una sentenza della prima sezione civile della Corte di appello di Palermo. Dopo 35 anni, vengono perciò tolti gli ultimi veli sulle responsabilità dell’abbattimento del Dc-9 Itavia precipitato il 17 giugno 1980 al largo di Ustica. Una lunga vicenda che il nostro giornale cercò di affrontare già il 23 ottobre del 1993, dopo già 13 anni dall’incidente, titolando il lungo articolo d’inchiesta di Pietro Andrea Annicelli: «Ustica, la verità negata…», dove nella illuminante vignetta di Piero Angelini si prefigurano già i possibili scenari di occultamento dei fatti attuati a vari livelli.

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