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Il disappunto dell'Ordine dei giornalisti della Puglia per la chiusura delle redazioni decentrate della "Gazzetta del Mezzogiorno"

Continua il crollo dei quotidiani nazionali: Repubblica, il Fatto e il Corriere tutti perdono copie. Come mai? “Per la faziosità e l’incompetenza dei giornalisti”

(Immagine tratta dal web)

Arrivano gli ultimi dati di vendita delle copie, cartacee e digitali, dei quotidiani in Italia a novembre dello scorso anno, dove si registra l’ulteriore decrescita delle testate giornalistiche tradizionali, un po’ tutte in sofferenza, con qualche rara eccezione.

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Quello che colpisce è soprattutto il crollo verticale di “Repubblica”, la quale a ottobre dello scorso anno aveva già perso oltre il 18 per cento. Secondo le ultime rilevazioni, infatti, il quotidiano diretto da Maurizio Molinari ha registrato 116.752 copie vendute contro le precedenti 122.588 (-4,76%). Facendo qualche conto, in due mesi “Repubblica” ha perso ben 33.949 lettori. In calo anche l’altro colosso di casa Gedi, “La Stampa”, che ha perso l’1,48 per cento, passando da 82.294 a 81.077 copie vendute.
Brutte notizie anche per altre testate storiche del giornalismo italiano. Secondo i dati Ads sulla vendita totale di copie cartacee e digitali, in media il “Corriere della Sera” ha venduto giornalmente 241.991 copie, in calo dell’1,42 per cento rispetto alle 245.489 del mese precedente.
In crescita, seppur di poco, il “Sole 24 Ore”, che a novembre ha portato a casa 125.774 copie, in aumento dello 0,21 per cento rispetto alle 125.506 vendite del mese scorso. Novembre in rosso anche per il “Messaggero”, in calo dell’1,14 per cento a 64.094 copie vendute contro le precedenti 64.834.
Brutte notizie, poi, per il “Fatto Quotidiano” di Marco Travaglio, che è calato del 2,18% passando da 51.901 a 50.771 copie vendute a novembre. Stessa sorte anche per “La Verità” di Maurizio Bielpietro, che ha registrato il tonfo più pesante (-6,76%), con 28.040 copie vendute contro le 30.074 di ottobre.
“Il Giornale” ha poi perso il 4,91 per cento, vendendo in media 28.406 copie contro le 29.874 di ottobre. Anche “Libero” ha ridotto le vendite del 4,23 per cento (da 21.135 copie vendute a 20.242).
Infine, buone notizie solo per il “polo” del “Quotidiano Nazionale”. Il “Giorno” ha guadagnato il 5,59 per cento, registrando 17.914 copie vendute contro le precedenti 16.966. In positivo anche “Il Resto del Carlino”  (+0,77%) a 57.273 copie contro le 56.835 di ottobre. Chiude, in leggero calo, “La Nazione” (-0,81%) con 37.078 contro le precedenti 37.381 copie vendute del mese scorso.
Ma quali sono i motivi della crisi del giornalismo italiano?
È facile immaginarlo. Secondo un’indagine Mediatech, la crisi dell’editoria è da imputare soprattutto al fatto che, secondo un intervistato su tre, la crisi dell’editoria sia dovuta alla faziosità e all’incompetenza dei giornalisti. Per questo, è giusto, che perda lettori. L’informazione in Italia sta quindi morendo? “Che sia cartacea oppure online”, si evidenzia, “i numeri scendono ogni anno sempre più verso il basso. I giornali, quotidiani e periodici, vivono un periodo storico di continua sofferenza. Ma sebbene molti conoscano la crisi dell’editoria, in pochi si domandano davvero quale sia il motivo che si cela dietro questo fenomeno”.
Ecco, dunque, il sondaggio chiedere se si è preoccupati di questa discesa verticale dei giornali italiani. In proposito la risposta prevalente alla domanda (“le vendite dei giornali, sia su carta che online, continuano a scendere: perché? È preoccupato dalla cosa?”) è anche molto severa: “Soprattutto per la faziosità e l’incompetenza dei giornalisti, è positivo che perdano lettori e che ognuno oggi possa informarsi in modo più diretto”(33,7%)”. “La responsabilità è sia di internet che della scarsa qualità dell’informazione. È preoccupante, perché i social sono ancora meno affidabili dei giornali”.
Dall’altro lato, c’è un 19,7% che il calo dell’informazione tradizionale lo ritiene “un cambio epocale irreversibile e negativo, in quanto chiunque potrà costruire le notizie senza controllo”. La risposta forse meno gettonata e più ottimistica è quella che vede questa crisi come “una evoluzione naturale che sta avvenendo ovunque”. Non è negativa perché “la fruizione delle notizie avviene in modo più plurale, su media e fonti diverse, in rete” (18,8%)”.

La crisi de “La Gazzetta del Mezzogiorno”

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Ma non c’è da stare allegri anche in ambito locale.
In una newsletter del 13 gennaio scorso il Consiglio regionale della Puglia dell’Ordine dei giornalisti afferma: “Con la chiusura delle redazioni decentrate della Gazzetta del Mezzogiorno, la Puglia perde presidi di democrazia e pluralismo, indebolisce la sua offerta informativa e precarizza ulteriormente il patrimonio occupazionale con decine di giornalisti e poligrafici in cassa integrazione a zero ore e con la prospettiva di perdere definitivamente il lavoro nell’arco di breve tempo”.
“Non era questo – si continua – l’epilogo che ci si sarebbe aspettati dopo l’ultima travagliata fase della storia secolare della Gazzetta del Mezzogiorno che ha subito anche l’assenza dalle edicole e dai lettori per sette mesi in attesa della soluzione di una procedura fallimentare alla quale hanno dato speranza non secondari gruppi produttivi dell’economia regionale”.
Per concludere: “C’è da aspettarsi che l’anno appena cominciato sotto i peggiori auspici per i lavoratori messi in cassa integrazione a zero ore, aiuti la testata a uscire dalle sacche di una crisi davanti alla quale i gruppi imprenditoriali che hanno rilevato la proprietà della storica testata pugliese abbiano tempo e volontà per diventare un gruppo editoriale meridionale che aiuti l’offerta informativa a essere adeguata alle sfide che i nuovi tempi impongono tra disinformazione e fake news”.

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